Sezioni Unite: risolto contrasto sulla responsabilità dell’appaltatore ex art 1669 cc in caso di ristrutturazione di edifici

27 Marzo 2017

A cura dell'Avv. Andrea Loi

La responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c. sussiste anche in caso di rovina, pericolo di rovina o gravi difetti a seguito di opere di ristrutturazione edilizia e interventi di manutenzione su immobili preesistenti, e non solo in presenza di vizi riguardanti la costruzione ex novo di un edificio.

Lo hanno chiarito le Sezioni Unite, con la sentenza n. 7756 del 27 marzo 2017, risolvendo il contrasto dottrinale e giurisprudenziale sul tema.

Per risolvere la questione relativa all’operatività dell’art. 1669 c.c., la Suprema Corte ha in primo luogo chiarito che la rovina o il pericolo di rovina possono ben riguardare anche opere più limitate della costruzione dell’edificio come le riparazioni straordinarie, le ristrutturazioni, i restauri o altri interventi di natura immobiliare.

Devono infatti considerarsi rilevanti anche i gravi difetti dell’opera che, pur interessando elementi secondari ed accessori, siano tali da compromettere la funzionalità globale dell’opera stessa.

E ciò anche se per la loro eliminazione non siano richieste opere di manutenzione straordinaria, ma siano sufficienti "opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture" o "opere di integrazione e manutenzione degli impianti tecnologi esistenti" (interventi disciplinati dall’art. 31 della Legge 457/78).

In sostanza, secondo le Sezioni Unite, è indifferente che i gravi difetti riguardino una costruzione interamente nuova.

L’art. 1669 c.c. sarà dunque ugualmente applicabile anche se l’opera oggetto dell’appalto sia limitata ad elementi secondari ed accessori, non riguardanti la prima realizzazione dell’immobile.

Per giungere a tale conclusione, le Sezioni Unite hanno effettuato un’ampio excursus storico ed una vera e propria esegesi dell’art. 1669 c.c. al fine di interpretare correttamente la norma in esame.

Ebbene, secondo la Corte di legittimità il termine "costruzione" non può riferirsi esclusivamente ad un nuovo fabbricato, ma è da intendersi per "attività costruttiva", che non implicherebbe l’edificazione per la prima volta e dalle fondamenta, ma si riferirebbe "all’assemblaggio tra loro di parti convenientemente disposte" (dal latino cum struere, ammassare insieme), ricomprendendo, quindi, sia "l’attività costruttiva" originaria che quella derivante da una ristrutturazione sostanziale.

D’altronde, a voler diversamente opinare, il termine "costruzione" sarebbe irriferibile agli altri immobili di lunga durata, contemplati dall’art. 1669 c.c., con la conseguente paradossale applicazione della norma solo nel caso in cui la rovina, il pericolo di rovina o i gravi difetti siano dipesi dal solo vizio del suolo.

Ne consegue che, a titolo esemplificativo, potranno legittimamente inquadrarsi nell’ambito della responsabilità ex art. 1669 c.c. i gravi difetti riguardanti:

  • opere di pavimentazione ed impiantistica;
  • impermeabilizzazione (infiltrazioni d’acqua e umidità nelle murature);
  • inefficienza di un impianto idrico;
  • un ascensore panoramico esterno;
  • il crollo o il disfacimento di intonaci esterni all’edificio;
  • inadeguatezza di una fossa biologica;
  • infiltrazioni d’acque luride

Ciò che rileva, quindi, ai fini della responsabilità ex art. 1669 c.c. è che a seguito della nuova costruzione o dei lavori edilizi emergano gravi difetti: la norma infatti prevede la responsabilità dell’appaltatore se, entro dieci anni dal compimento dell’opera, questa rovini o presenti gravi difetti.

In conclusione viene affermato il seguente principio di diritto "l’art. 1669 c.c. è applicabile anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo".